Bitcoin e le altre monete virtuali hanno un impatto ambientale non trascurabile. Lo dimostra uno studio che ha stimato la quantità di energia necessaria al funzionamento della tecnologia su cui sono basate e l’entità delle conseguenti emissioni di anidride carbonica in atmosfera .
Bitcoin, Ethereum, Litecoin, Monero: alcuni le possiedono già, altri, la maggioranza delle persone, ne avranno solo sentito parlare. Sono le criptovalute, indicate da molti come il futuro del denaro, legato in particolare alle transazioni on line.
Negli ultimi anni il dibattito sui mezzi di comunicazione si è concentrato sul loro valore o sulla loro affidabilità. Poco spazio è stato dedicato invece a capire quale impatto possano avere sull’ambiente. Ora questa lacuna è colmata con un articolo pubblicato su “Nature Sustainability” da Max Krause e Thabet Tolaymat dell’Oak Ridge Institute for Science and Education a Cincinnati, negli Stati Uniti.
Il punto di partenza dello studio è che le criptovalute, che sono ormai centinaia, si basano su una tecnologia, chiamata blockchain, configurata come un’enorme rete distribuita di unità di calcolo che consumano una notevole quantità di energia. Una blockchain è in sostanza un sistema di crittografia molto evoluto, che funziona come una sorta di “libro mastro” (in inglese public ledger) che permette di registrare continuamente e accuratamente tutte le transazioni che avvengono in molti nodi decentrati. Le transazioni sono poi confermate tramite il consenso da un gran numero di operatori, i cosiddetti miner, sulla base di ripetitive routine di calcolo effettuate da computer specializzati.
Ora, poiché il meccanismo si basa sulla competizione di diversi computer, e quindi con una sovrabbondanza di risorse hardware che funzionano contemporaneamente per un’unica funzione, la preoccupazione degli esperti si è concentrata subito sui possibili consumi energetici. Si è stimato per esempio che l’intera rete mondiale di mining dei Bitcoin consumi ogni anno l’energia di una nazione come l’Irlanda (circa 26 terawattora nel 2014 e 22 terawattora nel 2018).
Un altro concetto fondamentale è che la generazione di un Bitcoin è assimilabile all’estrazione di un minerale dalla crosta terrestre (da qui il termine mining, cioè “estrazione mineraria”, usato per indicare il processo di conferma delle transazioni). Ogni criptovaluta ha poi un valore corrispettivo con le valute tradizionali, secondo un meccanismo di cambio stabilito dall’andamento del mercato.
Gli autori hanno calcolato che per produrre un valore equivalente a un dollaro statunitense, tra il 1 gennaio 2016 e il 30 giugno 2018, quattro delle maggiori criptovalute come Bitcoin, Ethereum, Litecoin, e Monero hanno consumato rispettivamente 17, 7, 7, e 14 megajoule di energia (un megajoule di energia corrisponde a 0,28 chilowattora). Per fare un confronto, Krause e Tolaymat hanno poi calcolato il costo energetico dell’estrazione di alcuni metalli ed elementi delle terre rare, per un valore equivalente di un dollaro: si tratta di 122 megajoule per l’alluminio, 4 megajoule per il rame, 5 megajoule per l’oro, 7 megajoule per il platino e 9 megajoule per le terre rare.
La conclusione è che i costi energetici dell’operazione di mining delle criptovalute sono confrontabili o superiori a quelli dell’estrazione fisica dei metalli. Guardando in avanti, è prevedibile che in futuro uso e acquisto delle criptomonete aumenteranno enormemente, e in parallelo l’energia usata per gestirle.
Sulla base di queste stime, è possibile infine calcolare l’impatto ambientale delle criptomonete in termini di anidride carbonica emessa in atmosfera. Dare una stima significativa non è facile, considerato che un dollaro di criptomoneta in Canada ha un impatto in termini di emissioni pari a un quarto di quello che ha in Cina, a causa dei pesi diversi delle differenti fonti energetiche (rinnovabili e fossili) nei due paesi.
Basandosi su una stima media delle emissioni per unità di energia generata in India, Australia, Cina, Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e Canada, gli autori hanno calcolato per esempio che tra il 1 gennaio 2016 e il 30 giugno 2018 la rete Bitcoin ha generato da 3 a 13 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Complessivamente, per le quattro criptovalute considerate, la stima massima raggiunge i 15 milioni di tonnellate, poco meno delle emissioni, annuali però, della Slovenia, o anche la metà delle emissioni, sempre annuali, della Nuova Zelanda.
Il consumo energetico e le emissioni aggiuntive in atmosfera sono due fattori che dovranno essere tenuti in debito conto nei programmi di sviluppo delle criptomonete.