Uno studio del Consiglio nazionale delle ricerche svolto in un villaggio dell’Himalaya abitato dalla popolazione Sherpa dimostra che una cattiva qualità dell’aria in ambiente interno può causare danni al sistema respiratorio e cardiocircolatorio. La ricerca, realizzata in collaborazione con l’Università di Ferrara e l’Università di Pisa, è in via di pubblicazione su “European Journal of Internal Medicine”.
“Meno noto è che circa 2 milioni di decessi annui addizionali sono originati dall’esposizione all’inquinamento negli ambienti domestici, fenomeno particolarmente preoccupante nei continenti asiatico e africano, dovuto principalmente all’utilizzo, per riscaldamento e preparazione dei pasti, di combustibili di bassa qualità (sterpi, residui agricoli, sterco animale) con stufe altamente inefficienti e in ambienti non adeguatamente ventilati”, spiega Sandro Fuzzi, ricercatore dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Cnr-Isac) e coautore dell’articolo. “Precedenti
ricerche hanno già esaminato questo fenomeno in India, Cina e America Latina. La particolarità di questo studio, condotto nel villaggio di Chaurikharka, a 2.562 metri di altezza, abitato dalla popolazione Sherpa, sono la lontananza da altre possibili sorgenti di inquinamento, nonché la bassissima propensione al fumo, e la rarità dei fenomeni di obesità e diabete nella popolazione. L’assenza di questi fattori rende possibile una valutazione più precisa del rapporto causa-effetto fra l’inquinamento indoor e le affezioni riscontrabili nella popolazione”.
In questi ambienti domestici le concentrazioni di PM2.5, contenente a sua volta un’elevata percentuale di black carbon (BC), un derivato dalla combustione estremamente dannoso per la salute, possono superare di molte volte i limiti fissati dall’Oms per l’aria ambiente. “Abbiamo monitorato tredici case del villaggio su un intero ciclo giornaliero per verificare i livelli di concentrazione di PM2.5 e di BC. Settantotto abitanti delle case oggetto delle misure in età compresa fra 16 e 75 anni sono poi stati oggetto di una serie di valutazioni mediche”, aggiunge Lorenza Pratali, ricercatrice dell’Istituto di fisiologia clinica (Cnr-Ifc) e primo autore dello studio. “Dai risultati clinici è emerso che anche una cattiva qualità dell’aria dell’ambiente indoor può causare una precoce disfunzione a carico delle vie aeree e danno cardiovascolare subclinico. L’effetto nocivo è maggiore soprattutto dal punto di vista cardiovascolare nella popolazione con età maggiore di 30 anni, con una più prolungata esposizione al black carbon. È chiaro che semplici interventi che favoriscano l’uso di stufe più efficienti e combustibili più adeguati in queste comunità possono ridurre sostanzialmente le emissioni indoor dovute alla combustione e, di conseguenza l’esposizione degli abitanti e gli effetti sulla salute”.