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Repubblica Democratica del Congo – La violenza alimenta l’epidemia di Ebola

02/08/2014 Kailahun, Sierra Leone, i volontari della Croce Rossa della Guinea durante le operazioni di prevenzione per gestire l’epidemia di Ebola

L’intensificarsi dei conflitti nella Repubblica Democratica del Congo ostacola gli sforzi per debellare il virus, che si sta diffondendo al di fuori delle catene di trasmissione conosciute e ha raggiunto un tasso di mortalità del 60 per cento superiore a quello della crisi del 2014-2016 nell’Africa occidentale.

Più di 900 persone hanno contratto il virus Ebola da quando ha iniziato a diffondersi nella Repubblica democratica del Congo (RDC) all’inizio di agosto. L’epidemia, ora la seconda più diffusa mai registrata, non mostra alcun segno di rallentamento, alimentata, dicono gli operatori umanitari e i funzionari governativi, da un cocktail tossico di violenza e sfiducia.

Il conflitto nel nord-est della RDC, il centro dell’epidemia di Ebola, negli ultimi mesi si è intensificato. Alla fine di dicembre – dopo che il governo della RDC aveva impedito a più di un milione di persone nelle zone colpite dall’Ebola di votare per le elezioni presidenziali del paese – gruppi di manifestanti hanno assaltato e bruciato un centro per la cura dell’Ebola a Beni. E il mese scorso, assalitori armati hanno incendiato i centri di cura a Butembo e Katwa. Le persone impegnate in prima linea per combattere l’Ebola in quelle città – che diffondono appelli sanitari, identificano i casi potenziali e seppelliscono i morti – affrontano minacce e aggressioni quasi quotidianamente.

Le continue violenze hanno ostacolato gli sforzi per contenere il virus. “Qui ci sono così tanti gruppi armati che non si sa dove capiterà il prossimo problema”, dice uno di loro, che ha chiesto di restare anonimo perché non è autorizzato a parlare con la stampa. “Siamo gettati nel fuoco”.

Altrettanto preoccupanti, dicono gli epidemiologi, sono i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che indicano che il virus si sta diffondendo inosservato. Durante le ultime tre settimane di febbraio, il 43 per cento delle persone morte per Ebola a Katwa e Butembo sono state trovate già decedute nelle loro comunità, senza che fossero state isolate negli ospedali durante le ultime fasi della malattia, quando è più contagiosa. E tre quarti

di coloro ai quali è stata diagnosticato l’Ebola non erano stati precedentemente identificati come persone a contatto di soggetti che avevano contratto il virus.

Nel complesso, le statistiche suggeriscono che il virus si stia diffondendo al di fuori delle catene di trasmissione conosciute, rendendo più difficile contenerlo e facendo salire il tasso di mortalità rispetto ai focolai precedenti. L’attuale tasso di mortalità, il 60 per cento circa, è superiore a quello registrato durante la crisi dell’Ebola del 2014-16 in Africa occidentale, e questo nonostante i miglioramenti ottenuti nella cura delle persone colpite, compresa l’introduzione di diversi farmaci sperimentali.

“Possiamo avere a disposizione i migliori trattamenti al mondo, ma la mortalità non diminuirà se i pazienti non si presentano o arrivano troppo tardi”, dice Chiara Montaldo, coordinatrice medica del gruppo di soccorso di Médecins Sans Frontières (MSF, noto anche come Medici Senza Frontiere) nella provincia del Nord Kivu della RDC.

Territorio inesplorato
Questo focolaio di Ebola è il decimo nella RDC da quando il virus è stato scoperto nel 1976. È di gran lunga la più grande e più lunga epidemia che abbia mai colpito il paese, con circa 907 casi e 569 decessi, al 5 marzo. [Saliti a 921 casi e 582 decessi all’11 marzo. N.d.R.] A differenza delle precedenti, è iniziata nella regione nord-orientale della RDC devastata dalla guerra, dove le ondate di conflitti che si susseguono dal 1997 hanno causato fino a sei milioni di vittime.

La regione ospita decine di gruppi armati ed è anche una roccaforte degli oppositori del partito politico al potere nella RDC. Molti abitanti guardano con sospetto alle iniziative per debellare l’epidemia di Ebola, perché le considerano collegate alla lotta del governo ai suoi nemici politici. La decisione presa l’anno scorso dall’ex presidente Joseph Kabila di impedire il voto agli abitanti delle città di Beni, Butembo e Yumbi – per prevenire la diffusione di Ebola – ha aggravato i sospetti.

La violenza alimenta l'epidemia di Ebola
l 24 e il 27 febbraio a Katwa e a Butembo sono stati dati alle fiamme i centri di MSF per la cura di Ebola. (Cortesia WHO)

La risposta costante del Ministero della sanità della RDC, dell’OMS e di MSF (Médecins Sans Frontières), tra gli altri gruppi, ha arginato l’epidemia nelle comunità in cui il virus è comparso per la prima volta, come Mabalako, Komanda e Beni. Ma quando la gente si sposta, si sposta anche Ebola. Il virus si è diffuso in nuove aree, tra cui Butembo e Katwa.

Le continue violenze hanno indotto MSF a sospendere le attività nelle due città il 28 febbraio. Le principali agenzie sanitarie pubbliche non congolesi – come i Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti – hanno ritenuto la provincia del Nord Kivu, dove si trovano Butembo e Katwa, troppo rischiosa per andarci. Così, gli epidemiologi degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali stanno monitorando la situazione da lontano.

L’OMS ha mantenuto in zona il proprio personale, ma sta valutando se utilizzare le truppe di pace delle Nazioni Unite per cercare di rendere sicure le cliniche e le strutture in cui lavorano i suoi dipendenti. “Siamo preoccupati per la nostra gente”, dice Ibrahima Socé-Fall, vicedirettore generale dell’OMS per gli interventi di emergenza, che ha sede a Brazzaville, nella Repubblica del Congo, che si affaccia sul fiume che la separa dalla RDC. Nel frattempo, l’OMS ha intensificato i colloqui con i leader della comunità e sta preparando i residenti a contribuire alla realizzazione della risposta a Ebola. “Vogliamo ridurre la dipendenza dai partner internazionali”, dice Socé-Fall.

Lanciare l’allarme
Per contribuire ad arrestare la diffusione dell’Ebola, alcuni analisti esperti in politica sanitaria vorrebbero che l’OMS definisse l’epidemia nella RDC come un’emergenza sanitaria pubblica di portata internazionale. Questo potrebbe aumentare la cooperazione internazionale e mobilitare gli aiuti, come avvenne quando l’OMS dichiarò l’emergenza sette mesi dopo lo scoppio dell’epidemia di Ebola nell’Africa occidentale nel 2014-16.

L’OMS stima che eradicare l’attuale epidemia di Ebola nella RDC costerebbe 148 milioni di dollari. Secondo il direttore generale dell’agenzia, Tedros Adhanom Ghebreyesus, al 26 febbraio i paesi membri dell’OMS avevano impegnato meno di 10 milioni di dollari.

La violenza alimenta l'epidemia di Ebola
Avvisi sulle modalità di trasmissione del virus affissi per sensibilizzare la popolazione. (Cortesia WHO/L. Gutcher)

“Se questa non è un’emergenza sanitaria globale, che cosa lo è?”, dice Lawrence Gostin, specialista in diritto e politica sanitaria della Georgetown University a Washington DC: il conflitto in corso nel nord-est della RDC, osserva, rende l’epidemia eccezionale e le migliaia di persone che si spostano regolarmente dal nord-est della RDC in Sud Sudan, Uganda e Ruanda aumentano il rischio che il virus si diffonda.

I sostenitori di una dichiarazione di emergenza affermano che permetterebbe all’OMS di denunciare le azioni governative che potrebbero danneggiare la risposta dell’Ebola, come le restrizioni di voto della RDC dell’anno scorso o la decisione degli Stati Uniti di non entrare nella zona di diffusione del virus. Una dichiarazione potrebbe anche far pressione sulla RDC perché migliori i servizi sanitari e la sicurezza nelle comunità colpite da Ebola e dalla violenza, dice Oyewale Tomori, un virologo indipendente di Ibadan, in Nigeria.

Da ottobre, l’OMS ha ripetutamente deciso di non dichiarare un’emergenza sanitaria pubblica, affermando che è improbabile che Ebola si diffonda a livello globale e che i gruppi di aiuto stanno fornendo un aiuto sufficiente a limitare l’epidemia. Alcuni esperti di problemi sanitari globali ipotizzano che la riluttanza dell’OMS a dichiarare l’emergenza sia influenzata anche da questioni geopolitiche. Dichiarare un’emergenza potrebbe indurre i paesi confinanti con la RDC a chiudere le frontiere, per esempio, e questo potrebbe deprimere l’economia della regione e rendere ancora più difficile sapere quando le persone con Ebola entrano in altri paesi.

E David Heymann, epidemiologo della London School of Hygiene and Tropical Medicine, afferma che i leader dei gruppi armati della regione potrebbero usare una dichiarazione di emergenza come leva per negoziare il controllo del territorio o delle risorse in cambio del permesso ai soccorritori di fare il loro lavoro. “Gli agenti infettivi possono essere usati come ostaggi”, dice.

C’è poi il problema di sapere se una dichiarazione di emergenza serva effettivamente a qualcosa. Adia Benton, antropologa della Northwestern University a Evanston, in Illinois, dice che la svolta nell’epidemia dell’Africa occidentale potrebbe essere stata la notizia di una manciata di casi di Ebola negli Stati Uniti, e non la decisione di dichiarare lo stato di emergenza. E teme che – ci sia o meno la dichiarazione di emergenza dell’OMS – la situazione continuerà a peggiorare, proprio come gli incendi dolosi, la fame e la violenza che da un quarto di secolo affliggono la Repubblica Democratica del Congo, ampiamente ignorati dal resto del mondo.

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