Primo Levi, in “Se questo è un uomo”, racconta l’ultima notte nel campo di Fossoli, prima della partenza del treno per Auschwitz: “L’alba ci colse come un tradimento… I vagoni erano dodici e noi seicentocinquanta…in viaggio verso il nulla, in viaggio all’ingiù, verso il fondo”.
Fossoli, frazione di Carpi, fu lo scenario “inconsapevole” di una delle pagine più cupe della nostra storia: qui fu attivo – tra il dicembre 1943 e i primi giorni dell’agosto 1944 – un campo di concentramento in cui vennero reclusi 2844 ebrei arrestati in tutta l’Italia centro-settentrionale sotto l’occupazione tedesca. In quel periodo nel nostro paese giunse al culmine l’offensiva fascista contro gli ebrei che, iniziata con le leggi razziali del 1938, conobbe una brutale accelerazione con la Repubblica sociale. Il 30 novembre 1943 fu emanato, infatti, un provvedimento che prescriveva l’arresto degli ebrei, con la confisca di ogni loro bene e il trasferimento nel complesso di Fossoli, in precedenza utilizzato come campo per prigionieri di guerra e destinato anche ad altri internati, come i detenuti politici.
Le autorità di Salò e quelle del terzo Reich definirono una sorta di divisione dei compiti: gli italiani si occuparono dell’arresto e dell’internamento degli ebrei; i tedeschi, che dal marzo 1944 assunsero anche formalmente il comando del campo, ne organizzarono il progressivo trasferimento nei lager in Germania e in Polonia (per la maggior parte dei deportati, fu il viaggio verso le camere a gas).