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Guatemala, in viaggio con i guerriglieri, il racconto di una viaggiatrice.

 

A Nebaj, in Guatemala, i reduci della guerra civile si «reinventano» guide turistiche: una possibilità di rinascita dopo il conflitto, di Chiara Andreola

 

zunil-guatemalaNebaj, Guatemala: uno degli ultimi avamposti prima delle montagne nel cosiddetto Triangolo Ixil (dal nome dell’etnia maya che lo abita), dove i 35 mila abitanti vestono ancora gli abiti tradizionali, parlano la lingua locale, e animano un coloratissimo mercato in cui gli stranieri si contano – se si contano – sulle dita di una mano. In fondo, il lungo viaggio necessario per arrivare sin qui su strade che definire disagevoli è un eufemismo scoraggia molti turisti. Chi stringe i denti, però, può godersi una cittadina d’altri tempi: capita facilmente di vedere le donne e le bambine che macinano a mano il mais per farne farina, o che si riuniscono sulla piazza davanti alla chiesa di epoca coloniale per tessere in compagnia.

Il triangolo Ixil è una delle zone che ha sofferto di più durante la guerra civile, che ha insanguinato il Paese dagli anni Settanta fino al 1996: secondo le stime di gruppi religiosi e organizzazioni per i diritti umani, nel solo periodo tra il 1978 e il 1983 – la fase più cruenta del conflitto – vennero distrutti 24 villaggi e uccise 25 mila persone, su una popolazione di 85 mila. A questo si aggiunsero i rapimenti, le deportazioni e le violenze sulla popolazione soprattutto da parte dell’esercito, che per sradicare la guerriglia mise in atto un vero e proprio genocidio. Anche una volta deposte le armi, tuttavia, non è facile per chi non ha imparato alcun mestiere se non quello della guerra reinserirsi in un’economia che già di per sé è poco più che di sussistenza: per questo gli abitanti stanno lavorando sodo per costruirsi un futuro, cercando anche soluzioni innovative.

Un sodalizio interessante potrebbe essere proprio quello tra alpinisti ed ex guerriglieri: chi conosce queste montagne meglio di loro, che ci hanno passato la vita? L’idea è piaciuta alla cooperativa LavaL IQ‘, che oltre ad aver fondato una rete comunitaria di 19 villaggi e un’associazione di donne tessitrici, riunisce anche diversi reduci della guerriglia che si prestano a fare da guide. Gli itinerari proposti sfruttano come base di appoggio i vari villaggi della rete – di cui alcuni raggiungibili solo a piedi –, fornendo così anche un sostegno economico alla popolazione.

Capito nella sede della LavaL IQ’ per caso, durante una delle mie passeggiate per Nebaj. Carmen, la ragazza che gestisce il punto vendita dei prodotti di artigianato portati dalle donne di cui sopra, mi illustra le varie escursioni tra cui si può scegliere. Ce n’è davvero per tutti i gusti e per tutte le gambe: da quelli di un paio di giorni, con lunghe soste in villaggi dove è disponibile la luce elettrica e l’acqua corrente – un lusso –, a quelli di quattro o cinque giorni, appoggiandosi a paeselli che non dispongono di tali amenità. In ogni caso, è sempre previsto di essere ospitati da gente del luogo, così da avere momenti di condivisione e conoscenza della storia, della cultura e – diciamocelo pure – della cucina di questo popolo. Certo bisogna sapersi adattare, ma ne vale la pena.

Purtroppo però Nebaj sconta, come dicevamo, la sua posizione infelice: dal registro delle presenze che Carmen mi invita a firmare vedo che l’ultimo visitatore è passato due mesi prima. E dire che la zona è paesaggisticamente spettacolare, e la gente sa aprire il proprio cuore agli ospiti. La LavaL IQ’, comunque, non è sola: dalle cooperative agricole a quelle di artigianato, ad altre che offrono pacchetti di trekking, non si può certo dire che la gente di qui stia con le mani in mano. Non a caso, per quanto alcuni progetti siano iniziati grazie all’aiuto internazionale, la maggioranza è interamente locale, e anche quelli partiti da un’iniziativa straniera sono ora indipendenti: il che, pur non essendone la garanzia, è comunque il prerequisito per il successo.

Il viaggio che proponiamo con estensione a Nebaj  bottone scarica

 

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