APPROFONDIMENTO – Il virus Zika è davvero la causa della microcefalia, patologia che colpisce i feti riducendo il volume del cervello e della circonferenza cranica? Se gli ultimi sviluppi della ricerca scientifica sembrano dare una risposta affermativa, l’epidemia brasiliana continua a rappresentare a modo suo un mistero. Negli altri paesi, colpiti dal virus, l’incidenza della malformazione non è assolutamente paragonabile. Al punto che, in Colombia, un’indagine su 12.000 donne incinte (e infette da Zika con sintomi evidenti) ha riscontrato zero casi di microcefalia. I dati preliminari del rapporto NECSI (New England Complex Systems Institute) mettono ulteriore carne al fuoco: secondo le stime degli esperti coinvolti, che sottolineano la presenza di numerosi casi di infezione asintomatica, le gravidanze “colpite” da Zika sarebbero almeno 60.000 nella sola Colombia. Eppure finora i casi di microcefalia nel Paese sono stati 50, solo quattro dei quali associati all’infezione.
La causa della microcefalia va quindi messa in discussione? Sì, secondo il rapporto, che rimette sul tavolo l’insetticida pyriproxyfene, ampiamente usato in varie zone del Brasile per sterminare proprio le zanzare vettrici di Zika. Si tratta di un analogo della neotenina, un ormone giovanile che regola lo sviluppo post-embrionale negli insetti e causa reattività incrociata con l’acido retinoico, un fenomeno associato alla microcefalia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel frattempo, continua a includere quest’ipotesi tra i “rumors”, le voci infondate che circondano Zika, smentendo l’associazione tra l’insetticida e le malformazioni fetali per assenza di evidenze.
Nel frattempo, in Brasile: i casi di Zika-microcefalia e la ricerca brasiliani continuano per la loro strada. Il virus è stato identificato nel tessuto cerebrale di due neonati di due mesi, diagnosticati con microcefalia, ma anche nel cervello di due neonati morti poco dopo la nascita e nella placenta di due feti abortiti a poco più di 10 settimane di gestazione. Questi nuovi casi, riportati su The Lancet -in prima linea sulle ultime novità legate alla microcefalia, e ai presenti limiti diagnostici-, sono una nuova evidenza a sostegno dell’ipotesi che l’infezione durante il primo trimestre di gravidanza possa danneggiare la placenta e il feto, portando all’aborto. Il meccanismo di trasmissione rimane poco compreso, come lo è quello che permette all’infezione di causare le anormalità nei feti, ma tutte e cinque le madri mostravano palesi sintomi di Zika durante il primo trimestre di gravidanza. Il tessuto del cervello era danneggiato, con cellule degenerate, morte e presenza di microcalcificazioni (piccoli depositi di calcio). Al di fuori del sistema nervoso, nessuna traccia del virus.
Le altre infezioni associate alla microcefalia, tra tutte l’herpes, causano infiammazioni nel cervello: anche in questo Zika si distingue, perché non causa risposte immunitarie di questo tipo. L’ipotesi dei ricercatori è che il virus sferri il suo attacco al sistema nervoso, con conseguenti danni al cervello e compromettendo i muscoli. A commento dello studio due esperti, Drucilla J Roberts e Matthew P Frosch del Massachusetts General Hospital, sottolineano che “Nonostante i Centers for Disease Control and Prevention abbiano concluso che il virus Zika causa microcefalia e altre malformazioni nel cervello fetale, la dimostrazione della sua presenza nei vari tessuti rimane poco omogenea. Serviranno ulteriori e dettagliati studi patologici per chiarire lo spettro della sindrome congenita legata allo Zika, e per confermare l’infezione come la causa di queste complicazioni perinatali”.
La nota positiva è che nei laboratori si continua a lavorare su una delle strade che da subito è apparsa come particolarmente promettente: l’utilizzo di Wolbachia per contrastare il virus Zika. Questo batterio benigno (nello specifico Wolbachia pipientis) è in grado di bloccare completamente la trasmissione del virus Zika nelle zanzare Aedes aegypti, il principale vettore. Delle enormi potenzialità contro Zika di Wolbachia, già studiata e usata nella lotta alla Dengue, abbiamo parlato diffusamente in questo articolo. Ora Matthew Aliota, ricercatore alla UW-Madison School of Veterinary Medicine e primo autore di un nuovo studio pubblicato su Nature, ribadisce che il batterio potrebbe presentare un “meccanismo di controllo biologico” prezioso per fermare la diffusione del virus, a basso costo, che si auto-sostiene (senza il bisogno di continui rilasci, come accade per le zanzare gm) e sulla carta meno pericoloso per l’ambiente. Non si introduce in natura nulla di nuovo, perché la Wolbachia -ad esempio quella di drosofila, il moscerino della frutta- è presente praticamente ovunque sul pianeta. Inoltre è poco probabile che passi da un ospite ad un altro.
Aliota e i colleghi hanno infettato dei topi con il virus Zika (isolato da un paziente umano) e hanno permesso alle zanzare di nutrirsi del loro sangue due e tre giorni dopo l’infezione. Solo una parte delle zanzare usate nell’esperimento era portatrice di Wolbachia, lo stesso ceppo già usato negli studi sul campo, e proprio queste avevano meno probabilità di infettarsi con lo Zika dopo aver mangiato sangue infetto. Quelle che comunque contraevano il virus, non erano in grado di trasmetterlo attraverso la loro saliva.
Negli ultimi mesi, nel frattempo, Zika è passata da essere una minaccia lontana -un po’ come lo era stata l’epidemia di Ebola prima dei casi di contagio europei- a diventare uno spauracchio concreto. A subirne le conseguenze sono le Olimpiadi 2016, previste a partire dal 5 agosto a Rio de Janeiro: a fine maggio 152 tra medici ed esperti di tutto il mondo hanno inviato una lettera aperta al CIO (Comitato Olimpico Internazionale) e a Margaret Chan, direttrice generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, chiedendo di annullarle. “Gli appassionati di sport che possono permettersi di assistere ai giochi di Rio hanno scelto di correre i rischi associati allo Zika”, ha dichiarato Amir Attaran dell’Università di Ottawa, promotore dell’iniziativa, “ma quando alcuni di loro torneranno dopo aver contratto il virus, il rischio sarà esteso anche ai loro compatrioti”. Al Brasile, per quanto riguarda il solo aspetto economico, annullare i giochi costerebbe almeno 10 miliardi di dollari.