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Haiti – un dossier della caritas italiana su quale turismo per il paese caraibico.

Paradisi perduti? Viaggiatori responsabili per un turismo che sviluppa le comunità locali.

Il dossier sull’impatto del turismo nel paese caraibico inizia con una ampia analisi sui temi dello sviluppo sostenibile legato al turismo. Qui puoi leggere l’introduzione al dossier , in fondo all’articolo puoi scaricarti il dossier completo.

Haiti e Turismo Sostenibile – Dossier Caritas Italiana

DALLA CRESCITA AL TURISMO SOSTENIBILE

Sono passati dieci anni dalla crisi finanziaria ed economica globale che ha scosso il mondo e alcuni decenni dalla dissoluzione delle grandi ideologie classiche che ne hanno cambiato gli equilibri. L’Occidente ha subito cambiamenti sostanziali nella vita concreta delle persone,
nei rapporti di forza tra gruppi sociali ma anche a livello concettuale nel modo di interpretare e conoscere i fenomeni. Come disilluso e rassegnato a gestire il presente, il mondo contemporaneo sembra aver perso la capacità di immaginare il futuro, percorsi possibili
e alternative percorribili. La scienza economica ha imposto sempre più la sua visione, diventando per certi aspetti egemonica, portandoci dentro una rappresentazione
in cui le scienze umane e l’umanesimo stesso sembrano spesso inutili, relegati da una sorta
di materialismo funzionale a un ruolo di subalternità. Ma è proprio del tutto vero? Questo tempo che stiamo vivendo è principalmente caratterizzato dalla sottomissione, dal pragmatismo, dal disimpegno e dal nichilismo? Non è invece, al contrario, una visione miope e nostalgica che ci fa pensare al mondo come svuotato dei grandi valori e delle grandi spinte ideali? Nel presente dossier non si vuole tanto affrontare direttamente questi temi, ma portare una riflessione
sulle sfide dello sviluppo che interrogano tutti gli attori che intervengono a diverso titolo a contribuirne l’evoluzione sia concettuale che nelle pratiche di intervento. Chi, come la Caritas, si ritrova per vocazione al fianco dei gruppi più fragili e nei contesti più vulnerabili, non può esimersi dall’esprimere un’opinione e non può nemmeno cedere alla facilità di spiegazioni riduttive rispetto alla complessità del mondo e dei fenomeni che lo definiscono. Si è scelto per questa ragione di affrontare un fenomeno, un caso studio, che nel passato ha sempre assunto una connotazione principalmente economica, cioè il turismo, non tanto per dimostrare l’insensatezza di una tesi su un’altra, quanto per ragionare sull’interdipendenza intrinseca tra sociale ed economia, tra svago e impegno, tra uomo e ambiente, e sulle opportunità che da questa relazione possono scaturire
al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile, inclusivo ed equo. A livello internazionale c’è un grande dibattito rispetto alle idee di crescita e di sviluppo. Questi concetti hanno origine già nella seconda metà degli anni ‘40, nel primo dopoguerra, in corrispondenza della nascita di grandi organismi internazionali, dalle Nazioni Unite alla Banca Mondiale, essi stessi figli della necessità
di evitare nuovi sanguinari conflitti globali secondo una visione principalmente liberista capace,
secondo i suoi sostenitori, di garantire pace, benessere economico e stabilità politica a un mondo caotico dove gli interessi nazionali se non riportati dentro una cornice comune, cooperativa e intergovernativa possono alimentare ostilità e contrapposizioni violente.
Tuttavia nel tempo il dibattito si è evoluto a volte trovando anche dei momenti di confronto aspri tra diversi approcci, in particolare per quanto riguarda le diseguaglianze tra quelli che vengono definiti i Paesi del Nord e del Sud del mondo. Infatti, secondo una logica di interdipendenza asimmetrica, i secondi imputano all’espansione post-colonialista dei primi, le ragioni
della propria condizione di povertà e arretratezza. In ogni caso, è apparso sempre più evidente che crescita e sviluppo non sono sinonimi, quando la crescita ha un valore principalmente quantitativo, riferendosi alla quantità di beni e servizi disponibili e misurata secondo il tasso di crescita annuale del prodotto interno lordo pro-capite, mentre il secondo, lo sviluppo, comprende anche elementi di qualità della vita di natura sociale, culturale e politica. In pratica, il
concetto di crescita esclusivamente economica e basata unicamente sul PIL è stato messo radicalmente in discussione, in quanto incapace di cogliere e analizzare forti disparità economiche tra la popolazione

1. Il problema a livello
internazionale

Crescita e sviluppo non sono sinonimi, quando la crescita ha un valore principalmente quantitativo, riferendosi alla quantità di beni e servizi disponibili e misurata secondo  il tasso di crescita del prodotto interno lordo procapite,mentre lo sviluppo comprende anche elementi di
qualità della vita di natura sociale, culturale e politica Haiti: Labadie non è solo una spiagga privata per i turisti delle navi da crociera, ma anche un villaggio di pescatori. Le barche sono utilizzate per il trasporto della popolazione locale dentro a uno stesso Paese, una diseguaglianza che comporta rigide divisioni in classi sociali e gravi fenomeni di emarginazione rispetto alle opportunità di educazione, di lavoro e di ridistribuzione della ricchezza. Si prenda ad esempio Singapore, uno dei Paesi più ricchi al mondo, ma tra gli ultimi posti secondo l’Indice di Contrasto alla Disuguaglianza2. In questo Paese, paradiso fiscale societario, mancano norme legali sulla parità retributiva, non sono in vigore leggi contro la discriminazione di genere e non
è stato introdotto il salario minimo. Se inizialmente la critica al concetto di crescita, concetto
visto come l’espressione delle posizioni dominanti nel mondo accademico, si manifestava nei movimenti popolari di rivendicazione dei diritti economici, sociali, culturali e politici, successivamente è stata fatta propria dalle Organizzazioni Non Governative (ONG) e,
dagli anni ‘90, ha cominciato a influire sull’impostazione delle politiche delle grande organizzazioni internazionali come la stessa Banca Mondiale o lo UNDP (Programma
delle Nazioni Unite per lo Sviluppo). In questo quadro si è inserito l’Indice di Sviluppo Umano proposto nel 1990 da due economisti, il pakistano Mahbub ul Haq e l’indiano Amartya Sen, che cercarono di tenere conto, oltre al reddito, di valori quali l’alfabetizzazione e la speranza
di vita, e successivamente, anche di indicatori orientati sui pilastri della sostenibilità (ambientale, sociale ed economica), in accordo con gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (secondo l’Indice di Sviluppo Umano, nella classifica 2018, l’Italia occupa il 24° posto, mentre Haiti si trova al 158° posto su 187 Paesi valutati). A livello degli interventi per favorire lo sviluppo, si
è passati da grossi e concentrati investimenti industriali e tecnologici, a interventi su scala minore, più partecipati, comunitari e capillari, alla luce anche dei limiti della crescita rispetto all’esaurimento delle risorse naturali e ambientali e alla complessità delle differenze
culturali 3. In questo approccio, sostanzialmente olistico, il concetto di sviluppo economico non
è avulso da implicazioni sociali, culturali e politiche, dunque esse devono integrarsi dentro un modello equilibrato capace di assicurare pari possibilità a tutti gli individui.
Tuttavia, nei Paesi in via di sviluppo, tale approccio si scontra con un sistema che trova grossi ostacoli nel ridurre le diseguaglianze a livello globale e macroeconomico.
Da un lato si posizionano Paesi che godono di un sostanziale benessere economico e sociale,
dall’altro i Paesi in via di sviluppo, dove spesso la popolazione non ha accesso nemmeno ai beni essenziali, come il cibo e l’acqua. Secondo il World Inequality Report 2018, se guardiamo alle diverse quote di ricchezza, il 10% più ricco della popolazione possiede il 37% della ricchezza in Europa, il 47% in America del Nord, il 46% in Russia, il 41% in Cina, il 55% della ricchezza
in India, Brasile e Africa sub-sahariana, addirittura il 61% in Medio Oriente. Negli ultimi venti anni la disuguaglianza nel mondo è cresciuta praticamente ovunque, in modo particolare in Nord America, Cina, Russia e India mentre più moderata è stata la crescita in Europa4. Ma il
dato più scioccante e anche così scontato da venir dato per naturale è che tra il 1980 e il 2016 l’1% più ricco della popolazione mondiale ha intascato il doppio della crescita economica rispetto al 50% più povero.In pratica, l’82% dell’incremento della ricchezza globale, che è stata registrata nel 2017, è stata appannaggio dell’1% più ricco mentre il 50% più povero della popolazione mondiale non ha beneficiato di alcuna porzione di tale incremento. Dunque, se globalmente
le diseguaglianze crescono, all’interno dei Paesi e tra Paesi del Nord e del Sud del mondo, esse sono estremamente più marcate, ed è questa la grande sfida della cooperazione internazionale, cioè diffondere un modello di sviluppo capace, attraverso la formazione e il potenziamento delle capacità umane, di promuovere eguaglianza, sostenibilità, partecipazione e produttività.Per parlare di sviluppo sostenibile è necessario però anzitutto comprendere cosa si intende con questo concetto spesso inflazionato. La sostenibilità è definita come la caratteristica dello sviluppo che consente il soddisfacimento dei bisogni della società della generazione attuale senza compromettere i bisogni delle generazioni future. Per arrivare a uno sviluppo
sostenibile si deve quindi uscire da una mera logica del profitto per passare a vedere la contemporaneità di tre valori di base: la prosperità economica, la qualità ambientale e la giustizia sociale.
Come si evince dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile elaborati nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, lo sviluppo sostenibile si compone di molteplici tasselli che assemblati vanno a costituire un puzzle complesso al cui centro si trovano l’uomo e l’ambiente. In questo modello si cerca di superare una visione dello La sostenibilità è la caratteristica dello sviluppo che consente
il soddisfacimento dei bisogni della società della generazione attuale senza compromettere i bisogni delle generazioni future. Per uno sviluppo sostenibile bisogna uscire da una mera logica del profitto e passare a vedere la contemporaneità di tre valori di base: la prosperità economica, la qualità ambientale e la giustizia sociale sviluppo legata unicamente all’aumento del reddito
del singolo cittadino, ma si abbraccia un’idea di benessere generale che comprende non solo l’uomo in sé e per sé, ma anche l’ambiente, l’ecosistema e le risorse che lo circondano. Trascurando la salute del pianeta a favore di una crescita capitalistica si nutre infatti
un circolo vizioso di degrado che colpisce con maggior forza i Paesi più poveri e quindi più vulnerabili. L’anno 2015 è stato una pietra miliare per lo sviluppo globale in quanto i governi hanno adottato l’Agenda 2030 per la sostenibilità, impegnandosi in una certa misura a sostenere questo approccio e a perseguire gli obiettivi in essa contenuti. In questo senso,
l’economia diventa uno dei pilastri dello sviluppo, ma non il solo. Tuttavia questo stesso approccio integrato deve tenere presente anche dell’altra faccia della medaglia,
del punto di vista uguale e contrario, poiché ha un’altra fondamentale implicazione. Non solo è necessario che gli interventi in economia debbano essere sostenibili dal punto di vista sociale, culturale e ambientale, ma è vero anche l’esatto opposto: tutte le iniziative e i progetti di tipo sociale, culturale e ambientale, affinché siano veramente efficaci a ottenere un impatto in termini
di sviluppo, devono tenere conto della sostenibilità economica. Le scelte economiche operate dai
settori profit devono permearsi dei valori della sostenibilità come ad esempio della responsabilità sociale d’impresa. Nel contempo le scelte sociali si muovono verso i modelli dell’economia
civile, solidale e sociale. Le scelte stesse nel campo dello sviluppo, anche nella cooperazione
internazionale, pur in contesti di estrema povertà e vulnerabilità non possono che muoversi in
questa direzione: evolvere dagli approcci assistenziali classici in una dimensione in cui gli elementi economici, culturali, sociali, ambientali e politici interagiscono e concorrono al raggiungimento del medesimo obiettivo. La visione molto paternalistica e compensativa del
beneficiario, sia esso un’organizzazione, una comunità o un gruppo di persone, come ricevente passivo di un aiuto, nel tempo ha creato non solo dipendenza ma anche indirettamente sgretolato i preesistenti sistemi comunitari e informali di solidarietà.
Sono molti e diversi i fattori che rendono complesso il lavoro della cooperazione allo sviluppo. Intervengono cause legate alle metodologie di intervento che non riescono realmente a includere e a favorire la partecipazione attiva delle comunità rispetto alle scelte di sviluppo ma, al contrario, senza volerlo, incoraggiano la deresponsabilizzazione e atteggiamenti “ostili” verso le stesse ONG percepite come istituzioni aliene da sfruttare. Nel contempo, fattori contestuali di instabilità, sottosviluppo e diseguaglianza cronici tipici dei Paesi in via di sviluppo in cui la cooperazione internazionale opera, intervengono ad affievolirne l’efficacia. Ad esempio, sistemi educativi carenti ed esclusivi, classi politiche e autorità locali corrotte e inaffidabili e la mancanza di infrastrutture di base, strade, fognature, reti elettriche e acquedotti, spesso vanificano e impediscono gli sforzi verso lo sviluppo, scoraggiano gli investimenti e rendono difficili
i progetti di cooperazione. Questi ultimi, proprio per il loro fine esplicito e principale di sostenibilità devono essere ancora di più il frutto di una conoscenza approfondita del contesto e di una rilessione sui metodi di intervento. In questo Dossier si vuole comprendere come settori
prettamente economici possono rappresentare una risorsa per lo sviluppo sostenibile e un’opportunità per la cooperazione internazionale. In particolare si vuole approfondire come il turismo come settore economico specifico oggetto del nostro studio, se ben indirizzato, in una veste e complessità alternativa alla sua versione di massa, con il cambiamento dei costumi
e dei valori ad esso associati, possa costituire non solo un momento importante di scambio culturale e conoscenza reciproca ma anche una chance di sviluppo sostenibile. Il turismo costituisce infatti un’enorme potenzialità economica per molti Paesi, fonte di guadagno e di promozione del territorio.
I Paesi “occidentali” hanno fatto del turismo e della promozione delle proprie bellezze paesaggistiche, culturali e storiche un vero e proprio business. Secondo le stime del WTTC (World Trade & Tourism Council) nel 2017 il settore turistico ha contribuito per
il 10,4% al PIL mondiale creando posti di lavoro per 313 milioni di persone; solo in Italia ha generato proventi per 253,4 miliardi di dollari. Il fenomeno non è però solo “occidentale”: negli ultimi anni molti dei Paesi considerati in via di sviluppo Nel 2017 il settore turistico ha contribuito per il 10,4% al PIL mondiale creando posti di lavoro per 313 milioni di persone. Il fenomeno non è solo “occidentale”: molti dei  Paesi considerati in via di sviluppo si stanno aprendo al
turismo con notevoli risultati economici. Ad esempio, in Rwanda il settore turistico negli ultimi sette anni è cresciuto del 12% all’anno si stanno aprendo al turismo con notevoli risultati economici, basti pensare che in Rwanda il settore turistico negli ultimi sette anni è cresciuto del 12% all’anno. Il Paese ha infatti investito su un turismo sostenibile, con un impatto reale e tangibile sia in termini di sviluppo che di conservazione delle comunità.

Qui il testo completo del dossier: ddt43_haiti2019

 

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