Pedro Castillo, il probabile prossimo presidente del Perú, nell’anno del bicentenario dell’indipendenza ha vinto le elezioni con lo slogan: “Mai piú poveri in un paese ricco”. Riuscirá a governare nonostante la resistenza dell’oligarchia economico-finanziaria che ha sempre controllato il paese come se fosse di sua proprietá e che in questo ballottaggio si é schierata apertamente per l’avversaria Keiko Fujimori?
Un articolo sulle recenti elezioni in Perù di Giovanni Vaccaro .
Il 6 giugno, c’é stata la seconda tornata elettorale in Perú per definire chi assumerá la presidenza della repubblica dal 28 luglio di quest’anno fino al 2026, tra il candidato sorpresa Pedro Castillo e Keiko Fujimori.
Oggi, a distanza di quasi 3 settimane, ancora non si puó definire ufficialmente chi é il presidente eletto.
In realtá la ONPE, la Organización Nacional de Procesos Electorales, l’ente elettorale del paese, martedí 15 giugno, ha giá concluso il conteggio dei registri elettorali elaborati e contabilizzati, così come i registri contestati ed ha dichiarato Pedro Castillo come vincitore del concorso elettorale con 8.835.579 voti. La differenza di voti contro la rivale Keiko Fujimori è di 44.058 voti. Con il 50,125% dei voti 5,8% voto nullo e 0,64% voto bianco.
Ma Keiko Fumimori giá dal martedí seguente al 6 giugno ha iniziato a non riconoscere il risultato, appoggiata dai buffet di avvocati piú prestigiosi del Perú (che, ricordiamo, hanno difeso anche membri della grande corruzione politico-finanziaria che hanno umiliato i paese in questi ultimi anni, vedi caso Odebretch). Questo rifiuto al riconoscere il risultato continua fino ad ora. Inizialmente, ha sostenuto l’esistenza di presunti brogli elettorali, nonostante che gli osservatori internazionali, presenti e istituzioni prestigiose come Transparencia, riconoscevano la regolaritá delle elezioni. Poi ha alluso a presunti indizi di frode nelle zone dove non hanno raccolto molti voti e oggi propongono la nullità dei risultati dei seggi di suffragio, presentando cavilli burocratici che mirano a ritardare la proclamazione del vincitore per annullare le elezioni ed allo stesso tempo provocando continuamente gli avversari con un linguaggio di disprezzo razzista, sfidando con contro-marce agli oppositori per estremizzare la situazione e creare le condizioni politiche per un golpe parlamentare o militare antidemocratico, appellando in questo caso al comando suppremo delle Forze Armate, attraverso ufficiali in ritiro. Molti critici politici hanno notato la profonda similitudine con la strategia usata da Trump, qualche mese fa, per non riconoscere l’esito delle elezioni negli USA. Purtroppo in un mondo globalizzato tutto puó essere riprodotto.
Tanta ossessione nel non accettare i risultati elettorali peró possono essere capita, se si considera che Keiko Fujimori ed il suo partito Fuerza Popular, con piú di 80 membri del suo intorno, dovranno affrontare un duro processo in cui sono accusati di associazione a delinquere e lavaggio di denaro sporco proveniente dal narcotraffico. Il procuratore chiederá una condanna a 30 anni e 10 mesi da infliggere a Keiko Fujimori, nel processo che dovrebbe realizzarsi a breve. L’unico modo di evitarlo é quello di scudarsi con l’immunitá presidenziale.
Ma qual é la visione che si sta prospettando per il futuro?
La campagna elettorale, soprattutto le 5 settimane del ballottaggiio, é stata estremamente polarizzata. Dall’11 aprile, subito dopo la prima elezione si é scatenata una lotta senza riparo di colpi. I 2 candidati che sono andati al ballottaggio rappresentavano posizioni estremamente opposte.
Keiko Fujimori si é subito proclamata paladina del modello economico neoliberista. Modello che impera in modo radicale in Perú dagli anni ’90, imposto proprio dal padre Alberto Fujimori che ha governato dal 1990 al 2001 (volendosi rieleggere fino al 2005 con frode elettorale, questo si, confermato dagli organismi di osservatori internazionali). Modello che ha permesso una grande crescita economica ma con grandi disuguaglianze e soprattutto smantellando il giá precario sistema sanitario ed educativo pubblico, pagando le conseguenze nefaste in questo periodo di pandemia.
Questo le ha fatto ottenere l’appoggio incondizionato dell’oligarchia economico-finanziario del paese che ha dominato la debole democrazia peruviana dall’indipendenza fino ad ora.
Dall’altra parte Pedro Castillo si é proclamato subito paladino del cambio di questo sistema economico, sintetizzandolo con lo slogan: “Non piú poveri in un paese ricco”, che continuamente ripeteva in tutta la campagna elettorale.
Il problema si é acutizzato dal fatto che Pedro Castillo, professore rurale, contadino, “Rondero”, sindacalista del corpo docente, di tratti andini, appartenente a quella cultura sempre disprezzata ed esclusa, ha scatenato un razzismo che non era mai apparso in modo cosí evidente, nelle reti sociali e perfino nei mezzi di comunicazione.
In questa elezione di sono sommati elementi che non si sono mai voluti chiarire in questi 200 anni di storia di indipendenza e che forse é venuto il momento di risolvere. Questi sono: La lotta per il cambio del sistema economico-finanziario, ora in versione neoliberale, elitista ed escludente, disegnato per arricchiere l’elite “criolla” a costa dell’esclusione di milioni di discendenti delle popolazioni andine ed amazzoniche; la lotta contro il razzismo che ha sostenuto e giustificato sempre il modello coloniale, spagnolo e nazionale, basato nella giustificazione dell’inferioritá “biologica” dei discendenti delle popolazioni autoctone, come sostengono da decenni Anibal Quijano, ed i vari intellettuali della corrente della “Colonialitá”; e la lotta all’impunitá dei potenti che ha giustificato fin dalla colonia la gran corruzione pubblica e privata.
Oggi questa congiuntura obbliga la debole democrazia peruviana a sopportare un grave colpo e forse un “grave esame di maturitá”. Molti autori dicono che oggi, piú che mai la democrazia peruviana é chiamata a diventare adulta. Questa povera democrazia, giá tramortita dal COVID-19 (a luglio dell’anno scorso il Perú é stato dichiarato il secondo paese al mondo con maggior numero di morti e contagiati e ad aprile di quest’anno il Financial Time ha dichiarato il Perú come il paese con peggior gestione del COVID-19, per numero di morti (180 mila) e numero di contagiati.
C’é da sperare che l’inizio del governo di Castillo, il candidato “ignorante” come amano chiamarlo le élite di Lima, condurrá il paese a superare l’esame di maturitá per poter affermare con i fatti “mai piú poveri in un paese ricco”.