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NUOVO SCENARIO IN PERÚ DOPO LE ULTIME ELEZIONI POLITICHE

di Giovanni Vaccaro

Domenica 11 aprile, ci sono state le elezioni politiche in Perú per eleggere il nuovo presidente che governerá il paese dal 28 luglio di quest’anno fino al 2026, se non ci saranno ribaltoni, come a novembre dell’anno scorso. Queste sono le elezioni del bicentenario, dato che il prossimo 28 luglio si ricorderanno i 200 anni di indipendenza del Perú dalla Spagna.

Elezioni in Perú, 11 aprile. Foto AFP

Quest’ultima domenica, 11 aprile si é svolto il primo turno delle elezioni politiche in Perú, che nel ballottaggio del 6 giugno, porteranno ad eleggere il prossimo presidente per 5 anni.

Il primo dato di quest’anomala elezione, realizzata in piena pandemia (un rapporto statistico del quotidiano inglese Financial Times ha collocato il Perù in cima alla lista dei paesi con il più alto eccesso di morti durante la pandemia) é che il 40% dei voti è stato nullo, vuoto o assente.

I 2 candidati che andranno al ballottaggio il 6 giugno, sono Pedro Castillo con circa il 19% e Keiko Fujimori, con circa il 13%. Peró questa percentuale é da calcolare sul 60% dei voti validi, dato che il restante 40% non ha espresso nessuna volontá, attraverso l’astensionismo ed il voto bianco o nullo.

Quindi entrambe le proposte non rappresentano una vera maggioranza ed offriranno un presidente con scarso appoggio elettorale. Tutto questo in un tremendo scenario político, sociale ed economico, accentuato dalla pandemia.

 – Un sistema sanitario pubblico che collassa appena inizia una qualsiasi emergenza, frutto dell’abbandono delle politiche pubbliche che riservano al settore solo il 3,6% del PIL, per lasciarla alle logiche del libero mercato dei privati, che con le loro cliniche, chiedono minimo 10mila dollari di garanzia, come condizione minima per ricoverarsi, ogni volta che un contagiato di COVID chiede di salvare la propria vita. Altrimenti non lasciano entrare.

– La pubblica istruzione collassata. Davanti alla pandemia, per impotenza, ha escluso (abbandono scolastico) quasi il 45% degli alunni della scuola a livello nazionale. Il programma “Aprendo en casa” non raggiunge nemmeno il 50%. Piú di 300.000 studenti delle scuole superiori si sono ritirati. Ciò è prodotto dalla necessità dei giovani di lavorare per le loro famiglie e dalla mancanza di connettività nelle aree rurali e urbane povere.

Inoltre, secondo l’INEI (Instituto Nacional de Estadística e Informática), il 20% del settore rurale non ha il servizio elettrico e altri lo hanno solo a ore; Il 50% non ha la televisione e il 26% non ha la radio. L’85% delle famiglie rurali possiede un telefono cellulare, ma solo il 5,9% dispone di Internet.

Anche la situazione degli insegnanti è peggiorata. Per quanto riguarda l’infrastruttura delle scuole, il 44% aveva servizi di base nel 2016, il 30,8% nel 2019, nel 2020 ha continuato a deteriorarsi. 

Nel mondo del lavoro: Se prima avevamo già il 72,6% di informalità lavorativa, la pandemia ha ulteriormente aggravato la situazione occupazionale. 6.700.000 hanno perso il lavoro a causa di ciò e alla fine di dicembre tra i 2 ei 3 milioni non l’hanno ancora recuperato. Chi lo ha recuperato, lo ha fatto in lavori di qualità inferiore, con contratti a tempo determinato, come indipendenti o informali. E i “più fortunati” che hanno potuto continuare con il telelavoro hanno visto allungarsi l’orario di lavoro.

Ma per tutti loro, il reddito è sceso al 68%, secondo la società di consulenza Mckinsey. Per questo il 56% ha problemi a coprire le spese scolastiche; 62,9% in salute; Il 53,8% negli alloggi e il 58% per coprire le spese alimentari, secondo le stime di Imasen. nel 2019, nel 2020 ha continuato a peggiorare.

In questo contesto, i risultati elettorali di questo primo turno, confermano che al 95% delle schede elettorali esaminate, il leader sindacale di sinistra, Pedro Castillo ha vinto il primo turno delle elezioni generali in Perù con il 19,09% dei voti sulla sua futura avversaria, Keiko Fujimori, figlia di Alberto Fujimori che governó dal 1990 al 2001, risultando secondo Trasparencia Internaciónal, nel 2004 il 7° político piú corrotto al mondo, dovrà affrontare il suo terzo scrutinio consecutivo dopo le sconfitte nel 2011 e nel 2016.

Il confronto tra i due si presenta abbastanza complesso. Pedro Castillo propone il controllo dello Stato sulle ricchezze minerarie, petrolio e gas, del paese, sottraendolo alle multinazionali, per poter investire maggiormente nella sanitá, scuola, case e promuovere l’agricoltura familiare. Mentre Keiko rappresenta il continuismo della politica neoliberista degli ultimi 30 anni. 

Inoltre il nuovo Congresso della Repubblica (il potere legislativo in Perú é  monocamerali) sarà il più diviso della storia recente. Il futuro Potere Legislativo ha raggiunto dieci bancate, il che potrebbe portare a un nuovo capitolo di conflitto con l’Esecutivo e ad un inasprimento della crisi politica che il Paese sta attraversando.

In questi giorni si stanno moltiplicando le analisi di questo primo turno di elezioni. La maggior parte delle quali mostrano preoccupazione e inquadrano la situazione del ballottaggio come una scelta del mal minore.  

In particolare settori dell’elite urbanazzata, legata alle logiche della visione capitalista, estrattivista, vedono in Castillo un antisistema che mette in pericoli i grandi contratti miliardari che arricchiscono soprattutto l’elite, lasciando nell’abbandonando i reclami di inclusione della popolazione rurale andina, amazzonica e delle immense periferie urbano-marginali.  

Foto: alliance/dpa/APM. Mejía

La lettura é davvero complessa. É vero che da un lato la vittoria di Castillo debe essere ridimensionata, peró allo stesso tempo accolta. Non disprezzata, come nelle ultime 4 elezioni, ma nemmeno sovradimensionata.

Ovviamente è importante perché proviene in gran parte da un settore che di solito non ha spazio nei media (digitali di massa o indipendenti) di Lima perché continuiamo a guardare le cose (e il Perù) dal pregiudizio Lima-urbano (Lima accoglie 1/3 della popolazione di tutto il paese); Ma proprio per questo è anche importante non cadere in quella semplificazione eccessiva di dire che “il Perù profondo ha parlato”, perché oltre alla connotazione classista (non intenzionale) di quella frase, ha parlato solo il 16% della del 60% della popolazione.

Nessuno dei 18 candidati rappresenta con forza le esigenze di una nazione multidiversa e atomizzata in valori sociali, economici e ideologici come il Perù. Su 100 peruviani, più di 70 non si sentono rappresentati da Castillo o Keiko o De Soto (3° candidato).

Una domanda interessante, da approfondire é senz’altro chiedersi il perché di questa dispersione di preferenze. Naturalmente la risposta é complessa e racchiude molti fattori. Ma un primo fattore importante é l’incredulità e la sfiducia sui politici, in generale, a causa della profonda corruzione, accentuata dallo scandalo di Odebrech, dagli sconvolgimenti politici degli ultimi anni, la disperazione durante la pandemia, la mancanza di partiti politici con una base sociale reale (qui dobbiamo chiederci perché le persone non partecipano alla politica di partito) e anche l’incuria che la pandemia e la crisi economica ha provocato in questa campagna elettorale (il 24% era ancora indeciso a pochi giorni dalle elezioni).

Altro elemento da considerare, come raccolgono gli analisti, é considerare le vere disconnessioni sociali, non solo delle classi più ricche con quelle piú povere, ma anche delle classi medie progressiste con quei settori meno abbienti; É emerso che anche per la classe media progressista ed attivista, preoccupata storicamente per i settori emarginati, non basta la preoccupazione se non si offre la opportunitá di rappresentarsi senza intermediari. Pedro Castillo è il loro rappresentante organico ed era ora che fossero ascoltati e non negati o invisibilizzati. Anche se questa è solo una parte del Perù, peró é sempre una parte trascurata e sfruttata dalle élite economiche, e trascurata, anche (sebbene non sfruttata) dai gruppi progressisti della classe media.

Un ulteriore aspetto che in questi giorni si riflette é la disputa tra conservatorismo e progressismo. Infatti sembra che più che un confronto tra destra o sinistra economica, ciò che si mostra davanti ai nostri occhi sia una disputa ancora precedente, quella del conservatorismo e progressismo. Se la sinistra di Pedro Castillo ha qualcosa in comune con Keiko e la difesa di certi principi morali che meritano senz’altro un maggior approfondimento, senza escludersi per principi legati ad una tradizione che molte volte ha perso il riferimento iniziale.  

Ora, il panorama da qui al ballottaggio del 6 giugno, é che molti si sentono stanchi di dover scegliere sempre il male minore per evitare l’abisso. Castillo propone un governo di sinistra con un ruolo molto forte per lo Stato, anche su questioni come la libertà di informazione – che può rasentare la censura, ma che per lo meno si sforza di essere rispettuosa dei diritti umani e di alcune battaglie sul riconoscimento dei diritti delle minoranze. In ogni caso può essere un punto di dialogo, dibattito e apprendimento.

Quello con cui è impossibile negoziare è con il gruppo di Keiko, molto conservatore, che ha dimostrato in molte occasioni di avere pochissima vocazione sociale,  legata prevalentemente all’assistenzialismo umiliante che non ha nulla a che fare con il bene comune; che guida un gruppo indagato come organizzazione criminale, accusata di narcotraffico, che difende ognuno degli omicidi, responsabili delle sterilizzazioni forzate durante il governo di suo padre, degli abusi dei diritti umani e dei saccheggi compiuti dal padre nel governo di cui lei stessa ne faceva parte; Ma oltre a quel passato, abbiamo prove del suo comportamento quando ha avuto una quota di potere nell’ultimo Congresso della Repubblica, per i primi 4 anni, con 70 membri su 130, prova di come ha usato quel potere senza preoccuparsi di destabilizzare il paese durante o occultando le vere necessitá del popolo, ostacolando e mettendo sotto scacco, senza sosta, i due governi successivi.

Questo non toglie il timore verso Castillo, e forse potrebbe affondare ulteriormente la concezione di sinistra, piú di quanto il neoliberismo della destra peruviana non l’abbia già aiutata ad affondare; ma molti analisti sono d’accordo che se il governo Castillo rischia di andare male, su un governo di Keiko Fujimori non ci sono dubbi che sarà un ritorno a quanto di peggio abbia compiuto il governo del padre, Alberto Fujimori e delle sue abilitá per continuare nella corruzione e vocazione ad accumulare tutti i poteri e la sua arroganza e disprezzo per i diritti minimi di tutti i peruviani.

Per lo meno il piano del governo di Castillo riconosce la dichiarazione universale dei diritti umani, mentre Keiko è cresciuta disprezzando tutto ciò che ha a che fare con i diritti e lo ha dimostrato innumerevoli volte. I diritti umani sono una soglia minima essenziale per qualsiasi tipo di dialogo con qualsiasi governo. Ed al fujimorismo di Keiko non importa, così come ai poteri economici de facto che la sosterranno, i quali, data la scelta tra diritti delle persone e dividendi, scelgono sempre i dividendi.

Il piano del governo di Castillo ha interessanti proposte di sviluppo sociale che potrebbero finire per rendere giustizia a quella parte del Perù a lungo dimenticata, ma ha anche concezioni della sinistra marxista ortodossa che sono dissonanti con questo momento della storia. Tuttavia, è più facile parlare, dialogare e negoziare con qualcuno che ha dei principi – non importa quanto siano distanti dalla maggior parte dei cittadini che non hanno espresso un voto, che con qualcuno come Keiko che ha solo un’agenda di beneficio personale e verso i poteri economici de facto.

É probabile che ora si vedrá come la destra conservatrice e la destra economica, in complicità con i mass media, daranno un esempio dell’abuso del loro potere durante la breve ed esplosiva campagna che sarà questo secondo round.

Poi ricorderemo che quello che sta arrivando con Keiko Fujimori sarà il peggior incubo per la maggioranza dei peruviani, per l’indipendenza dei poteri, per lo Stato di diritto e per una vera democrazia.

Naturalmente, il 28 luglio 2021, qualunque sia il vincitore, la cittadinanza attiva sará ancora una volta vigilante per esercitare un’opposizione ogni volta che sarà necessario, come giá accaduto in questi ultimi anni. Sempre vigili e con le scarpe pronte a scendere in piazza tutte le volte che sará necessario.

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