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COVID -19 IN PERÚ SIGNIFICATO OLTRE LA PANDEMIA

Gianni e Nancy nella scuola di Corona Santa Rosa – periferia sud di Lima.

Riceviamo da Giovanni e Nancy nostri compagni di viaggio nel progettare e gestire i viaggi in Perù e mondo andino questa riflessione sull’epidemia di coronavirus.

Perchè il Perù è, ad oggi venerdì 7 agosto, il paese con più morti per milioni di abitanti in América Latina ed il quinto nel mondo, ufficialmente con 428.850 casi di contagiati e 19.614 morti, con una letalità del 4,57%, nonostante abbia adottato misure precauzionali con una quarantena rigida e radicale quasi subito dopo i primi casi di contagio?

Ufficialmente il primo caso di contagiato di COVID-19 è stato registrato venerdí  6 marzo di quest’anno.  Il 16 marzo viede indetto un primo periodo di quarantena rigida che dura fino al 7 giugno. A partire dall’8 giugno, anche se la quarantena continuerà fino al 7 luglio, sono state riattivate il 70% delle attività economiche, iniziando una fase 2 nonostante si stia in piena espansione di contagi. Anche se adesso si ritorna alla quarantena localizzata per regioni.  

Quindi ritorniamo alla domanda iniziale: Perchè il Perù, nonostante le misure rigide prese in tempo, presenta un numero così alto di contagiati?

Studi di vari organismi specializzati affermano che ció è dovuto soprattutto a 4 cause:  

  1. ALTO NÚMERO DE TAMPONI: Con circa 33 milioni di abitanti, il Perù è uno dei paesi che ha effettuato il maggior numero di test nella regione. Fino ad oggi ha effettuato oltre 2.404.046 tamponi. Più del Brasile, che ha una popolazione 6 volte più grande del Perù. Naturalmente a più tamponi vengono diagnosticati più casi. Ma questa è solo una parte della spiegazione dell’alto numero di casi registrati in Perù. Ci sono anche altri fattori, soprattutto sociali ed economici e sociali che spiegano meglio tutto il fenomeno.
  2. QUARANTENA IRREGOLARE: Anche se la quarantena è stata implementata poco dopo essersi registrato il primo caso, bisogna ammettere che è stata irregolare. Il Perù è andato insieme in Ecuador, il primo paese ad applicare l’isolamento sociale in America Latina indetto dal 16 marzo. Ha anche imposto un rigoroso confinamento. Alla gente veniva chiesto di uscire solo per comprare cibo e medicine. Sono stati chiusi subito i confini del paese ed è stato subito decretato il coprifuoco a partire dalle 18:00. Il messaggio “resta a casa” è stato subito parte di una campagna governativa che si è moltiplicato nei media e sui social network, molti hanno rispettato, ma non tutti possono rimanere a casa. Il 71% della popolazione economicamente attiva vive di un’economia informale. In altre parole, deve andare fuori per guadagnarsi da vivere ogni giorno. Proprio per evitare questa situazione era stato implementato un programma di sussidio beneficiando con bonus le famiglie vulnerabili. Però purtroppo il censimento attuale non ha permesso di confermare le famiglie realmente più vulnerabili che appartengono al livello di povertà e povertà estrema. Questo ha causato la necessità di dover uscire per portare qualcosa a casa nonostante il pericolo della pandemia. Inoltre, per motivi logistici, molti devono uscire per acquistare i viveri quotidianamente, dovuto al fatto che tra la popolazione appartenente alle fasce di povertà, solo il 21,9% ha un frigorifero. Ogni famiglia quindi deve uscire giornalmente a comprare alimenti, perché non si ha dove conservarlo. Questo fattore economico ha determinato che molti si sono esposti al virus in luoghi di grande affollamento. Mercati e supermercati sono stati.
  3. AGLOMERAZIONI: In tal modo i mercati sono diventati un importante centro di contagio. Nessun mercato era pronto a rispettare la distanza sociale tra i venditori ambulanti e nelle bancarelle, questo sommato a migliaia di acquirenti che cercavano di fare scorta di cibo durante la quarantena. Ad esempio, nel mercato della frutta della Victoria a Lima, il più grande della città, l’86% dei suoi venditori è stato riscontrato con COVID-19. Il governo è dovuto intervenire per organizzarli e per fermare il contagio. Un fenomeno simile è successo nel caso delle banche. Insieme ai mercati e ai mezzi di trasporto, sono diventati punti critici di contagio per COVID-19 per l’alto livello di agglomerazione. Parallelamente alla quarantena, il Perù ha lanciato uno dei più grandi piani economici della regione per questa pandemia, stanziando quasi il 10% del suo PIL per aiutare le persone che hanno perso il lavoro oltre que le imprese, soprattutto le grandi. Una delle misure includeva il pagamento di 760 soles peruviani, che ammontano a circa $ 220 USD per le famiglie più vulnerabili. Ma per ritirarli, molti sono dovuti andare personalmente in banca. Il governo ha dato la possibilità di riscuoterlo virtualmente, ma in Perù solo il 38% della popolazione ha un conto bancario. Tanti, quindi, hanno dovuto fare lunghe code che in molti casi sono diventati agglomerati pericolosissimi.
  4. SOVRAFFOLLAMENTO: Ma anche senza uscire di casa, il contagio può essere inevitabile nella realtà di molte famiglie, perché in molte abitazioni più povere, nelle innumerevoli baraccopoli che circondano tutte le città del Perù, il distanziamento sociale è semplicemente impossibile. Secondo l’indagine nazionale sulle famiglie, nel 2019 in Perù, l’11,8% delle famiglie povere occupa case sovraffollate. Molte case condividono la stessa stanza per tutti i membri della famiglia o sono case che non hanno nemmeno le divisioni in stanze e quindi tutti i membri della famiglia condividono uno stesso spazio. Pertanto, nonostante la quarantena, il Perù è arrivato all’inizio di giugno senza essere in grado di appiattire la curva del coronavirus, anche se ci sono esperti che affermano che, nonostante i problemi, non applicare il confinamento avrebbe lasciato un equilibrio molto più pesante. Inoltre non è un caso che circa il 75% dei casi sia riscontrato a Lima metropolitana , dato che dei circa 33 milioni di abitanti, un terzo vivono a Lima. Questo fa del Perú da un lato un paese non con alta densità di popolazione, 18 ab./km2, ma rende Lima metropolitana con alta densità della popolazione: 3,620 ab./km2 e ció che peggiora la situazione è che molte delle abitazioni sono piccole, sovrapopolate, mal ventilate e malcostruita (autocostruzione per molti decenni nelle baraccopoli dell’estrema periferia).

Questi fenomeni ci mostrano come sia difficile sconfiggere socialmente il coronavirus. Nonostante i grandi sforzi del governo per “appiattire” il contagio e la curva della morte, ci sono alcuni fattori che sono difficili da superare in una quarantena così lunga: povertà, informalità, debolezza operativa dello stato, deficit infrastrutturale, moralità e cultura criolla “creole” occidentalizzate che disprezzano le popolazioni indigene ed impoverite.

Gli impoveriti si trovano di fronte all’alternativa di contagiarsi o di non mangiare. E ovviamente scelgono la prima opzione.

Però paradossalmente questa pandemia ci sta dicendo cosa deve cambiare in Perù non solo a breve termine per superare la crisi della pandemia ma anche per il futuro, in vista di compiere i 200 anni di repubblica nel 2021.

Questa pandemia ci ricorda di essere soprattutto ed ancora informali (71% della popolazione). Questo è il risultato di un’economia incapace di pagare legalmente i lavoratori, nella maggior parte dei casi per non voler ridurre la grande ricchezza, e dell’incapacità dello Stato di creare nuove regole per incorporarli nei propri registri fiscali, sociali e dei servizi. Di conseguenza, sono al di fuori del “sistema formale”. Vale a dire, al di fuori dell’economia di maggior produttività, al di fuori del sistema bancario e del sistema di sicurezza sociale. Ed ora si è visto come sia difficile supportarli.

Grazie alle riforme neoliberali negli anni ’90, imposte in tutta America Latina dai “Chicago Boys” in tutta Ameria Laina, lo Stato in Perù si è considerato inefficiente e quasi del tutto inutile e per molti è percepito solo come un nemico (ancora coloniale) da parte di molta popolazione. Per questo è stato ridotto al minimo, tollerato solo per essere la segreteria delle grandi imprese nazionali che il più delle volte offrono la facciata alle grandi multinazionali che hanno appetiti nelle risorse minerarie, petrolifere ed agricole del paese. Le dimensioni ai minimi termini ed il limitato raggio di potere sono risultati incompatibili per affrontare le disuguaglianze sociali e le povertà che sono esplose con maggior clamore in questa pandemia.

Da quest’ideologia dominante che lascia il potere all’iper-mercato, come Deus ex-maquina, è nata questo sottoprodotto della corruzione sviluppata dagli anni ’90. Oggi abbiamo uno Stato con una macroeconomia del 21° secolo, ma con infrastrutture e gestione pubblica del 19° secolo, oltre ad aree ancora semifeudali. La privatizzazione dei servizi sociali è stata funzionale per i settori a più alto reddito. Per tutti questi motivi, si è tentato di controllare il COVID-19 nelle prime tre settimane, ma questo è risultato impossibile.

Ma non è tutto, dal momento che l’intero processo socioeconomico e politico degli ultimi quarant’anni – iniziato nei primi anni novanta, caratterizzati dal fenomeno “Fujimori” – ha impregnato comportamenti immorali e amorali nell’etica di molti, che oggi si riflettono in moltissimi strati della società. Negli agenti di polizia che si ritagliano la loro “fetta” dal budget dal fondo statale per l’acquisto di mascherine o respiratori meccanici; sindaci che rubano i fondi dalla cesta alimentare familiare destinata alle famiglie più povere; hackeadores che usano il loro genio informatico per rubare 1 milione di soles peruviani (più di 300 mila dollari) dal fondo da destinare ai bonus per le famiglie con minori entrate; le maggiori catene di farmacie che moltiplicano per 8 volte il prezzo dei medicinali che maggiormente ne ha bisogno la popolazione in questo momento di emergenza; cliniche private di gran nome che approfittano dell’emergenza e la disperazione della popolazione per farsi pagare l’equivalente di 250 dollari oltre al rimborso previsto dallo Stato per effettuare i tamponi. Questo dopo che lo Stato aveva lanciato la campagna di tamponi gratis anche nelle cliniche, dopo aver dovuto alzare la bandiera bianca negli ospedali pubblici, ormai collassati per superare il numero di posti letto e ventilatori meccanici richiesti; o lo scandalo dell’ossigeno, dove l’impossibilità di trovarlo nel mercato ha fatto salire alla luce che in Perù da anni si era data la concessione per poter vendere bombole di ossigeno solo a 2 ditte degli Stati Uniti presenti nel paese, che hanno speculato sul prezzo in tutti questi mesi di emergenza, prima di collassare davanti all’enorme domanda. Le banche che non comprendono l’impossibilità di pagare a tempo i debiti, imponendo interessi che aumentano sempre di più, ogni mese che di ritardo del pagamento, arrivando anche al 120% del capitale. E tanti altri casi che non è possibile enumerarli tutti.  

Comportamenti che indicano come quest’ideologia che si è imposta dagli anni ’90 non è stata in grado di costruire quei codici morali di una società civile per poter reagire con un’identità di popolo che sa sorgere dagli interessi di parte davanti all’emergenza. Questa ideologia ha scolpito nella cultura frasi come: “tutto è concesso al furbo di turno”, colui che è più vicino alle ricchezze da distribuire, l’importante è non farsene accorgere, altrimenti sarà ipocritamente additato dagli altri che gli rimprovereranno in realtà, solo l’essersene fatto accorgere perchè questo alzerá la vigilanza della società civile anche sugli altri. Quindi tutto è concesso – è stato pervertito all’estremo di pensare solo a sè stessi o per il suo clan.

Infine, la “cultura criolla” – la cultura dei discendenti europei che fin dall’inizio della colonizzazione dell’America Latina hanno visto i paesi dell’America Latina solo come bottino, anche se ormai nati qui da più di 5 secoli  – cultura intesa con modi e maniere di comportarsi socialmente – che si manifesta nelle frasi ormai note: “ruba ai belli ruba ai brutti tanto Dio perdona a tutti”, “ruba ma fa opere”, “rispettare i proprio turno è da idioti”, “l’occasione si presenta una sola volta”,”i puri ed ingenui rimangono sempre fregati”, “nella vita i stupidi vivono del proprio lavoro ed i furbi del lavoro degli altri”, ecc. Ovviamente, questa cultura deriva dalla colonialità, la mentalità coloniale che continua dopo la colonia, basata sul sentimento di esclusione che dura da 500 anni, dalla disuguaglianza di opportunità, dalla cultura dello scarto, dalla necessità di eliminare i poveri e gli indigeni che, con la loro logica della natura viva da rispettare per essere rispettati, sono visti come ostacoli al “vero sviluppo”. Tutto questo è, in una certa misura, il risultato di come la società e l’economia hanno incorporato i loro abitanti nei movimenti migratori delle ultime decadi, ma è anche il frutto di profondi problemi di accettazione di un paese che ancora non si accetta per quello che è: multiculturale e plurietnico, dove al vertice della piramide si trova la minoranza elitista bianca, seguita da meticci, indigeni e neri, migranti dalle campagne alla città e liberi solo per la scomparsa dei latifondi. Piramide che crea relazioni basate sul razzismo come eredità coloniale. Questa complessa cultura si manifesta nelle zone esclusive della città dove le famiglie dai cognomi altisonanti, vivono isolate, come negli antichi feudi, dentro “oasi di lusso” private circondate da muri e sbarre e controllate da poliziotti privati a cui viene concesso il diritto di libera circolazione in questi luoghi esclusivi ed escludenti.

Nel frattempo mi domando quando ridurremo le infezioni prima di avere un vaccino o un medicinale per combattere la malattia. Non ipotizzo risposte.

Però forse questa pandemia si sta prolungando per farci sentire il grido della Pachamama, la Madre Terra, che esige che cambiamo rotta, perchè sanguina, piena di ferite e sta reagendo facendoci capire che se continuiamo ad abusare di lei, sarà l’uomo a scomparire mentre la natura continuerà con un altro ciclo ritrovando un nuovo equilibrio. La Pachamama ci fa capire come dovrebbe cambiare il paese nel futuro ormai alle porte del bicentenario dall’indipendenza (formale) dalla Spagna da cui è nata quella cosa pubblica misteriosa che si chiama appunto repubblica. Se da un lato ci  chiede di sbrigarci a risolvere per lo meno quei pochi accorgimenti a breve termine, il COVID-19 oggi lancia un appello a quelle generazioni di giovani  a creare un nuovo patto sociale, includente che aiuti a farci sentire parte di un unico mondo e di un solo paese che si completa con gli atri che, con le differenze di ognuno crea un’armonia di colori che si interrelazionano per il bene di tutti.

Proprio a loro, giovani, figli dei primi immigrati dalle Ande e dall’Amazzonia, figli della Pachamama, assiepati all’inizio fuori le mura delle città, che hanno imparato a vedersi come eredi di culture millenarie, creatori di un equilibrio storico di convivenza con il loro intorno e con gli altri, che si scoprono soggetti di diritto come tutti e non sottorazza umana nata per servire il più forte.

Forse questa pandemia, scoppiata a poco più di un anno dal bicentenario (28 luglio 2021) della nascita della cosa pubblica (repubblica), ci chiede di liberarci non solo da questo virus, ma anche dal virus del razzismo, dell’esclusione, del neoliberalismo che uccide nell’imporre la logica del profitto al di sopra di tutto, generatore di un altro virus, il virus dell’individualismo che incita ad essere più forte degli altri per vincere sugli altri. COVID-19, nel dolore della morte, è questo quello che sei venuto a dirci? Ed allora non sarà il caso di ascoltare il grido della Pachamama, portatrice di nuove relazioni, basate sul Buon Vivere comunitario, dove per sviluppo intendiamo il Vivere bene con tutti con visione comunitaria del Bene Comune, sentendoci parte della natura e non suo padrone? Questo è il grido portato dalla Pandemia?

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