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Alitalia – come il denaro pubblico viene sprecato usando la demagogia.

Alitalia, piccoli azionisti chiedono 25 milioni di risarcimento a Berlusconi e Tremonti

La richiesta – fatta in riparazione ai danni subiti dal processo di privatizzazione della compagnia aerea – è stata depositata oggi e segna un nuovo capitolo della vicenda processuale avviata nel 2009

Il presidente di Alitalia Colaninno e l’ad Sabelli

Quasi 25 milioni di euro. E’ la misura del risarcimento chiesto da circa 50 piccoli azionisti di Alitalia al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e al ministero dell’Economia in riparazione ai danni subiti dal processo di privatizzazione della compagnia aerea. Una richiesta, quella depositata oggi presso il Centro nazionale di Mediazione e conciliazione – Aprile Group S.r.l. di Lecce, che segna un nuovo capitolo della vicenda processuale avviata nel 2009 e che, al tempo stesso, assume per il governo i contorni della beffa. Visto che lo stesso istituto della mediazione cui hanno fatto ricorso oggi i querelanti è stato introdotto lo scorso anno da un decreto legge fortemente voluto dall’ex Guardasigilli e attuale segretario del Pdl Angelino Alfano.

“Berlusconi aveva promesso la salvezza della compagnia attraverso l’azione di una cordata italiana, cosa che come sappiamo non è avvenuta, e così facendo si è ‘obbligato’ ai sensi del codice civile” spiega l’avvocato Francesco Toto, capofila dell’iniziativa legale, che coinvolge anche il suo collega Francesco D’Agata e l’associazione “Sportello dei Diritti” di Lecce, che l’ha fortemente sostenuta. “L’ho già denunciato in passato ma ancora attendo che mi venga fissata un’udienza dal gip”. Toto non va certo per il sottile nell’esprimere il suo giudizio sul significato dell’operazione Alitalia, definendo la privatizzazione della compagnia come “la truffa del secolo magistralmente organizzata dall’onorevole Silvio Berlusconi a danno dei cittadini”. Accuse pesanti, insomma, rivolte a una vicenda finita ormai tristemente negli annali dei disastri nazionali. Ma facciamo qualche passo indietro.

Dicembre 2007, governo Prodi. Sepolta sotto una valanga di passività, Alitalia è ormai in coma. Fortuna vuole, tuttavia, che sulla scena si sia presentata la concorrente d’Oltralpe Air France che ha messo sul piatto 1.700 milioni di euro per l’acquisizione degli assets e dei debiti della compagnia italiana. L’esecutivo italiano è favorevole ma ha anche i giorni contati. Berlusconi, allora leader dell’opposizione, ne approfitta per lanciare la sua crociata. Dopo il cambio di governo (maggio 2008) l’offerta viene definitivamente rifiutata nome dell’italianità aprendo dunque la strada a soluzioni “alternative”. La più quotata è quella della celebre operazione d’acquisto dei volenterosi imprenditori italiani, sponsorizzata niente meno che dell’ex presidente della Corte costituzionale Antonio Baldassarre, che, proprio per le sue rassicurazioni sulla presenza di  una cordata che in realtà non c’è, si beccherà prima una multa da 400 mila euro da parte della Consob e, in seguito, addirittura un rinvio a giudizio con l’accusa di aggiotaggio. Svanita l’ipotesi patriottica riecco quindi all’orizzonte i francesi che, alla fine dei conti, si portano a casa il 25% della compagnia con un esborso minimo: appena 300 milioni di euro.

I conti ovviamente non tornano, visto che l’acquisto di un quarto delle quote a quella cifra implica una valutazione complessiva della compagnia pari ad appena 1,2 miliardi, ovvero 500 milioni in meno rispetto alla prima offerta. Come se non bastasse, l’acquisto avviene al netto dei debiti dato che questi ultimi sono stati scaricati in una bad company ad hoc. A gestire la bad company, lo ricordiamo, era stato chiamato nell’agosto 2008 l’esperto Augusto Fantozzi, nominato per l’occasione commissario straordinario. Di fronte ai libri contabili, Fantozzi non aveva usato mezzi termini per sintetizzare l’origine del disastro. “Nella mia relazione sulle cause dell’insolvenza dico chiaramente che l’azienda ha sperperato” dichiarò l’amministratore straordinario più di due anni fa. “Non è un mistero che ci siano cinque procuratori della Repubblica al lavoro nei nostri uffici e la Corte dei Conti che indaga”. Parole durissime che di certo non piacquero a Giancarlo Cimoli, capofila degli ex amministratori e già congedato dalla compagnia con un assegno da 5 milioni di euro a titolo di liquidazione.

Il commissario, si mormorava, avrebbe addirittura voluto trascinare l’ex management in tribunale con un’azione di responsabilità che contestasse in sede civile la cattiva gestione dell’impresa. Un progetto rimasto incompiuto. A luglio, uno strategico comma (il numero 5 dell’articolo 15) inserito nell’ultima legge di stabilizzazione finanziaria, aveva affiancato a Fantozzi “due ulteriori commissari da nominarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o del ministro dello Sviluppo economico”. In ossequio a una decisione anticipata al nostro giornale da fonti bene informate dieci giorni prima, Fantozzi si è dimesso il 19 luglio di quest’anno citando, tra le motivazioni della sua scelta, la “mancanza di fiducia da parte del governo”.

Proprio alla bad company abbandonata da Fantozzi fanno riferimento i titoli in possesso degli azionisti di minoranza. Azioni ormai carta straccia, ovviamente, che sul mercato valgono esattamente zero. Il 31 agosto scorso, il ministero dell’Economia ha fatto la sua offerta di rimborso: scambio delle azioni con obbligazioni statali a scadenza 2012 per un controvalore pari al 50% del prezzo originale dei titoli. Un concambio in piena regola accompagnato da una piccola e decisiva clausola: chi accetta deve rinunciare i futuro a qualsiasi causa legale. “Non conosco i numeri precisi ma so che buona parte degli azionisti ha accettato” dichiara Toto. “La proposta governativa – aggiunge – contiene clausole vessatorie sulle quali mi riservo di avviare eventuali azioni in merito prossimamente. Insomma, una truffa nella truffa

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