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PEDRO CASALDÁLIGA SALUTA PER SEMPRE LA “SUA” AMAZZONIA

Don Pedro CasaldaligaIL VESCOVO POETA SEPOLTO IN BRASILE A FIANCO DI UN OPERAIO E DI UNA PROSTITUTA

Scomparso lo scorso 8 agosto, a 92 anni, il presule di origine catalana ha dato voce a poveri, lavoratori sfruttati e indigeni brasiliani. Il Papa ha citato i suoi versi nella “Querida Amazonia”. Il 12 agosto l’ultimo saluto.

Sotto un cumulo di polvere rossa nel Cimitero di Karajá, sulle rive del fiume brasiliano Araguaia, sovrastato da una croce nuda di legno, a fianco alle tombe di un operaio e di una prostituta senza nome, riposa ora per sempre dom Pedro Casaldáliga Plá. Poeta e profeta, eroe e difensore degli indigeni diseredati e dei lavoratori sfruttati dell’Amazzonia, il vescovo clarettiano, catalano d’origine ma brasiliano d’adozione, è scomparso lo scorso 8 agosto. Aveva 92 anni, otto dei quali vissuti sotto scacco del Parkinson che lui, tuttavia, chiamava «fratello Parkinson». I fratelli clarettiani avevano deciso di trasferirlo a Batatais per farlo meglio accudire, specie in mezzo alla pandemia di coronavirus che ha colpito il Brasile più di ogni altro Paese. Il presule è morto lì, pochi giorni dopo che le sue condizioni di salute si erano aggravate a causa di un’infezione respiratoria.

La notizia della scomparsa di Casaldáliga, i cui versi asciutti intrisi di fede sono stati citati dal Papa nell’esortazione post-sinodale “Querida Amazonia”, ha avuto grande eco in tutta l’America Latina, dove a piangerlo sono non solo fedeli e comuni cittadini, ma anche politici e rappresentanti di Ong e istituzioni. Tutta gente che negli oltre cinquant’anni trascorsi in Brasile, dom Pedro ha conosciuto, difeso, consolato, interpellato.

In terra brasiliana Casaldáliga era arrivato come missionario nel 1968, nel pieno del “Regime dei Gorillas”, la dittatura militare. Dopo sette giorni di viaggio, la sua barca era approdata a São Félix do Araguaia, all’epoca villaggio di case in legno e paglia di neppure 600 abitanti, ora municipio di oltre 36mila kmq. A dargli il benvenuto furono quattro cadaveri di neonati sistemati in scatole di scarpe di fronte alla sua abitazione, a cui dare sepoltura.

Dom Pedro si imbatté presto nello sfruttamento dei braccianti nelle fazendas dell’Amazzonia: erano immigrati del Sud e lavoratori disoccupati e senza istruzione che si inoltravano nella foresta in cerca di migliori condizioni di vita, attratti dall’espansione del latifondo. Ammassati nelle città, cadevano poi nella trappola della schiavitù. Il giovane missionario decise allora di fare un’opzione radicale per i poveri: i contadini senza terra e diritti nei quali intravedeva il volto di Gesù Cristo. Il latifondismo e il capitalismo rappresentavano invece per lui il peggior cancro sociale. Lo scrisse nel 1971, già vescovo, nella sua prima famosa lettera pastorale di 80 pagine: «L’ingiustizia ha un nome in questa terra: latifondo».

Con i grandi proprietari agricoli, con le imprese agrozootecniche, minerarie o del legno, con i politici che legalizzavano l’espansione fondiaria, in cambio di denaro e voti, gli scontri furono continui. Per difendere la vita degli altri, padre Casaldáliga ha rischiato molteplici volte la sua. Durante gli anni del regime, fu grazie all’intervento diretto di Paolo VI che evitò l’espulsione dal Paese: «Chi tocca Pietro, tocca Paolo», tuonò Montini. Era stato il Pontefice a nominarlo, nel 1970, amministratore apostolico della prelatura territoriale di São Félix da lui stesso creata; successivamente, nel ’71, fu nominato come primo prelato di São Félix, consacrato vescovo il 23 ottobre dello stesso anno. Scelse come motto per il suo stemma episcopale “Nada possuir, nada carregar, nada pedir, nada calar e, sobretudo, nada matar” (“Nulla possedere, nulla prendere a carico, nulla chiedere, nulla tacere e soprattutto non uccidere nessuno”). Alla mano esibì il “tucum”, l’anello in legno di palma segno del legame tra Chiesa e poveri, divenuto in seguito simbolo della spiritualità dei seguaci della Teologia della liberazione.

Proprio a causa del sostegno a questa corrente, come pure alle rivoluzioni in Nicaragua e a Cuba e all’azione dei movimenti sociali, padre Casaldáliga non fu visto di buon occhio a Roma, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II. Sfiorò le sanzioni della Santa Sede, che evitò grazie alla mediazione dei vescovi brasiliani.

Sfiorò più volte anche la morte. Nel 1976 fu il caso più clamoroso: un soldato gli sparò ma si salvò grazie al vicario del vescovo, il gesuita João Bosco Burnier, che gli fece scudo col suo corpo. I due si erano recati insieme nella locale caserma di Polizia per reclamare la libertà di due contadine incarcerate ingiustamente perché sospettate di collaborazionismo con gli oppositori. Casaldáliga minacciava denunce per le torture subite dalle donne e il militare tentò di ucciderlo, ammazzando però padre Bosco.

Nel luogo dell’assassinio, nella località di Ribeirão Cascalheira, in Mato Grosso, ora sorge il Santuario dei Martiri della Caminhada. È lì che ieri, 12 agosto, sono stati portati i resti mortali di dom Pedro, dopo la messa funebre celebrata domenica nella cappella dei clarettiani di Batatais. Il feretro è arrivato al termine di un viaggio di oltre 1.100 chilometri. Presenti migliaia di persone che hanno poi proseguito il pellegrinaggio fino al Cimitero dei Karajás, dove il vescovo aveva espresso la chiara volontà di essere sepolto.

Come ricorda frei Betto, amico di lunga data, era in questa porzione di terra bagnata dalle acque del Araguaia che Casaldáliga era solito celebrare la messa per i defunti. Amava pregare Dio in mezzo ai resti mortali degli indigeni che resistito all’invasione delle loro terre e ai lavoratori uccisi dalle frustate o dalle armi da fuoco. Un giorno, dopo la messa, disse: «Voglio che tutti voi ascoltiate attentamente, perché intendo parlare di qualcosa di molto serio: è qui che io voglio essere sepolto».

La sua volontà è stata esaudita ieri, dopo l’ultimo saluto nel Centro Comunitário “Tia Irene” di São Félix presieduto dal vescovo Adriano Ciocca. Il corpo del presule è stato posto su una canoa di legno, con indosso una stola di tela grezza ricamata, a fianco il remo usato come pastorale al momento della consacrazione episcopale, e sulla testa il cappello in paglia che fungeva da mitria.

«Abbiamo appena ridato dom Pedro Casaldáliga Plá alla terra del fiume Araguaia nel cimitero indigeno dei Karajás… A piedi nudi… nella terra rossa…», scrivono su Twitter gli amici che lo hanno accompagnato in quest’ultima «caminhada» e hanno posato corone di fiori ai piedi della lapide. Un pezzo di marmo con inciso l’epitaffio scelto dal vescovo stesso: «Per riposare io voglio solo questa croce di legno, come pioggia e sole questi tre metri di terra e la Resurrezione!».

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