Lo studio dell’antico vulcanismo nella parte etiope della Rift Valley ha rivelato che proprio in coincidenza dell’arrivo nella regione di Homo sapiens, si scatenò un’impressionante serie di eruzioni vulcaniche esplosive il cui impatto sull’ambiente avrebbe influito sulle rotte migratorie di quei nostri antenati
E’ questa l’ipotesi avanzata da un gruppo di ricercatori delle Università di Oxford, di St. Andrews e di Addis Abeba, che in un articolo pubblicato su “Nature Communications” hanno ricostruito la storia eruttiva di un segmento di 200 chilometri di lunghezza della spaccatura che attraversa l’Etiopia.
Sono state condotte molte ricerche per comprendere il legame tra i cambiamenti ambientali del passato e l’evoluzione umana, che si sono però concentrate soprattutto sul paleoclima africano, mentre ben poca attenzione è stata dedicata al possibile ruolo del vulcanismo esplosivo.
La grande Rift Valley è un sistema di fosse tettoniche ancora attive che sta lentamente spaccando in due l’Africa. L’allontanamento della parte più orientale dal resto del continente provoca un assottigliamento e una riduzione della densità della crosta, con un parallelo richiamo di magma dal mantello terrestre, un fenomeno che favorisce il vulcanismo.
Combinando i dati ottenuti dallo studio delle caldere di Aluto, Corbetti, Shala e Gedemsa, William Hutchison e colleghi hanno trovato prove di una vera e propria raffica di attività vulcanica altamente esplosiva tra 320.000 e 170.000 anni fa, che si è manifestata con una frequenza cinque volte superiore al tasso medio di vulcanismo della regione.
Secondo i ricercatori è plausibile che l’entità di queste eruzioni, con il rilascio di polveri, gas acidi e aerosol abbia colpito i laghi della Rift Valley, devastando una parte significativa della vegetazione e quindi influendo sulle risorse da cui dipendevano i nostri antenati e rimodellando i paesaggi, con la creazione e/o la distruzione di possibili vie di migrazione di quelle popolazioni.
Per controllare questa ipotesi, Hutchison e colleghi sperano di poter condurre un’ulteriore ricerca, più sistematica, su tutto il territorio, in modo da definire in maggior dettaglio la dinamica del fenomeno. Uno studio di questo tipo – concludono i ricercatori – avrebbe fra l’altro un interesse anche più pratico dato che nell’area interessata – scarsamente monitorata dal punto di vista vulcanologico – attualmente vivono circa 10 milioni di persone.